Intervista a Giorgio Ruggiero

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Incontriamo Giorgio Ruggiero, di sicuro un personaggio poliedrico e in continua attività, modello per Pubblicità di Strellson su “L’uomo Vogue” sfilate Dries Van Noten, Romeo Gigli Stilista per Donna Karan, DKNY, Escada, presentazione collezione personale a Londra Lo facciamo in occasione di alcuni scatti “osè” realizzati da R. de Caprio, allievo di Bitersnich.
Qualche anno fa ti avevamo ritrovato sulle pagine de “L’uomo Vogue” ma indossavi un bell’abito grigio. Che fine ha fatto? Immagino tu ti riferisca all’innegabile nudità. Si tratta di un progetto nato con un fotografo che aveva l’esigenza di ritrarre un corpo “originale”, ossia non modificato dagli attrezzi delle rumorose palestre. C’era l’intenzione di unire le foto ad un messaggio che io ho interpretato come “B-naked” che altro non è che l’invito ad essere se stessi, a spogliarsi dalle maschere che indossiamo.
Ma se qualcuno ti chiede che lavoro fai, cosa rispondi?
Non ho molte scelte. Rispondo: designer. Le foto e le sfilate sono delle occasioni che mi si sono presentate, tutto qua.
Dalle nostre parti si dice che “te la tiri” un po’?
Giuro…non faccio uso di stupefacenti!
Designer mi sembra generico. Dovendo scremare il pensiero?
All’inizio mi sono occupato di moda, disegnavo abbigliamento ed accessori. In seguito a mie personali idee ho seguito altre strade che mi hanno portato al design di oggetti passando per la grafica, la fotografia. Negli ultimi tempi, stanco di cambiare continuamente case e città, preparo un esilio a lungo termine a Milano, dove sono già stato per un paio d’anni e dove ritornerò ad occuparmi di moda.

Cos’è la moda?
E’ una occasione per attingere degli strumenti che ci serviranno ad esprimere meglio quello che siamo e che desideriamo. Moda come mood, stato d’animo e non soltanto corsi e ricorsi di una esigenza estetica sfrenata che rincorre una bellezza oggettiva. Che ognuno dica la sua! Se vogliamo essere più scientifici la moda va intesa come lo specchio della società in cui viviamo con caratteristiche, peculiarità che emergono a seconda della situazione socio-culturale, economica e politica di un popolo. Anche se la modernità accorcia sempre di più le distanze e tutti gli stili tendono ormai a mescolarsi inesorabilmente.
Cosa bisogna fare per diventare degli stilisti?
Innanzitutto c’è bisogno di una appropriata preparazione ed è fondamentale frequentare una buona scuola. In italia ce ne sono almeno due che sento di consigliare: l’istituto Marangoni di Milano e il Polimoda (FIT) di Firenze dove ho studiato io. Molte persone intraprendono questa strada convinti che porti dritto a quel patinato mondo che si intravede attraverso i media e questo non sempre accade.

La moda è un grande business che opera anche lontano da Milano dove il territorio è altamente inflazionato da disegnatori. Munirsi di grande umiltà e professionalità, per quanto retorico possa apparire, è il gran segreto affinché si compiano degli incontri professionali che possano spianare il terreno fino ad una realizzazione personale.
I tuoi libri e la tua musica. Hai dei titoli da consigliare?
L’anno scorso, nella mia adorata Stromboli, leggevo un libro che mi ha particolarmente affascinato: “autobiografia del rosso”, Anne Carson. In questi giorni leggo con grande interesse “dance dance dance” di Murakami.
Amo la musica elettronica ma mi spingo fino all’italiana d’autore. Massive Attack, Portishead, Bjork, per fare dei nomi tra i più noti, altrimenti parlerei di Lone Lee, Alpha, Heights of Abraham.

Un motto a te caro?
Non si tratta di un motto vero e proprio ma del finale di una poesia di Montale che recita: “si dice che io non creda che ai miracoli, ignoro che cosa credi tu se in te stesso oppure lasci che altri ti vedano e ti creino ma questo è più che umano è il privilegio di chi sostiene il mondo senza conoscerlo”. Insomma, un dubbio amletico che non tutti sono disposti ad affrontare e che per me è una ricca fonte di ispirazione ed energia .

Author: Redazione wet life

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